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Home » Ragusa: quando noi ragazzi degli anni ’70 ballavamo in casa

Ragusa: quando noi ragazzi degli anni ’70 ballavamo in casa

Redazione by Redazione
8 Aprile 2024 - Aggiornato alle ore 09:26 -
in Attualità
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Ragusa: quando noi ragazzi degli anni '70 ballavamo in casa

Ragusa, ballo fra studenti in casa foto Storie di Sicilia

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 “E ballati e ballati fimmini schetti e maritati, E si non ballati bonu non vi cantu e non vi sonu, Si non ballati pulitu ci lu dicu a lu vostru zitu. Sciù sciù sciù quanti fimmini chi ci su” … Sul filone iniziato tempo fa con il ricordo delle “vasche” in via Roma negli anni ’60 e 70, vorrei riprendere quel periodo della mia giovinezza quando durante le “feste” in casa si creava l’occasione adatta per “pittare”, cioè acchiappare la ragazza giusta. Intanto è importante ricordare come “festa” facesse rima con “compagnia”, cioè un gruppo di ragazzi e ragazze generalmente non impegnati, che stavano insieme per passare il tempo libero o andando al cinema (a Ragusa c’erano diversi cinema: Il Trionfale, La Licata, Il Marino, l’Ideal e L’arena (Aperta solo in estate), o facendo le famose “vasche”.

L’organizzazione della Festa…

C’era sempre una festa da ballo organizzata per un compleanno che si teneva a casa di una compagna di classe. Era un pretesto per fare accorrere altre coetanee, che non sempre erano autorizzate a recarsi in casa di un compagno. Io, il mio 14° compleanno, lo riproposi ben tre volte, poiché mancava la materia prima: le ragazze. E per tre volte la casa si riempì di maschi mentre di femmine ce ne erano solo due: venute in coppia con altri ragazzi più grandi che approfittavano dell’occasione per fare un paio di balli ed allontanarsi prima del tempo… La festa in casa era il momento giusto per conoscere una ragazza, per poterle strappare un ballo, per darle l’appuntamento il giorno dopo, davanti alla scuola. Era difficile in quegli anni e la colpa era una mentalità troppo arcaica dei nostri genitori, usciti dalla guerra e ancora non propensi ad accettare il cambiamento in atto nella società degli anni ‘60. Così come non erano propensi che i figli potessero aspirare a ritagliarsi quella libertà che loro stessi non avevano conosciuto. Accadeva quindi che la festeggiata invitasse a casa sua i compagni e le compagne di classe. Gli inviti venivano estesi anche a quelli di altre classi o di altre scuole.

Per i più giovani, trovare una ragazza ancora senza il corteggiatore era un problema, ma man mano che i mesi passavano, aumentavano le speranze da parte dei ragazzi di potersi prendere la rivincita quando diventavano più grandi, in seconda o in terza Ragioneria. La nostra “anzianità” ci consentiva di esercitare quel ruolo che prima ci veniva precluso: eravamo grandi o almeno sentivamo di esserlo, e ce ne accorgevamo dal modo in cui ci guardavano le ragazze delle classi inferiori, per intenderci quelle di 14 o 15 anni. Proprio nei loro confronti sfoggiavamo tutta la nostra esperienza senza preoccuparci di nascondere le nostre simpatie o interessi perché ci sentivamo più sicuri.

Si passeggiava in Via Roma, sperando che prima o poi arrivasse il momento di fidanzarsi con quella che avevamo già adocchiato.

Per arrivare al “dunque”, cioè al fidanzamento, quale migliore situazione di una “festa”? Normalmente l’occasione era una festa di compleanno, ma potevano essere anche le feste per Carnevale (mascherate!), oppure quelle organizzate per la conclusione dell’anno scolastico, o ancora quelle senza alcun motivo particolare ma organizzate solo per “sentire musica”, scusa ufficiale che in realtà voleva dire “dateci una sala e toglietevi dalle scatole”. Le feste migliori, con alta possibilità di partecipazione di “mine” (ragazze), erano quelle in appartamenti che potevano disporre di una sala abbastanza grande da consentire balli, nonché una serie di sedie lungo il perimetro per coloro che si sarebbero limitati a “fate tappezzeria”, cioè non ballavano nemmeno per una scossa di terremoto. Durata media della festa: dalle 15 alle 20 circa. Giorno preferito il sabato, ma anche la domenica andava bene. Nessuna attrezzatura particolarmente sofisticata per emettere musica; il più delle volte c’era un giradischi di quelli che consentivano di poter sentire dischi a 33 o a 45 o anche a 78 giri. Talvolta chi non possedeva un bel giradischi con casse rimediava con il famosissimo “mangiadischi” da spiaggia, cioè un attrezzo infernale, dall’acustica mostruosa, nel quale si infilava il 45 giri (perché il 33 era troppo grosso) regolarmente dal lato sbagliato, cioè quello della canzone che piaceva di meno. I 78 giri erano considerati roba da “matusa” (abbreviazione di Matusalemme), e quindi se ne stavano sempre nelle custodie. Certi pezzi venivano suonati anche 3-4 volte di seguito, e vi spiego perché. Intanto ricordiamoci che, nonostante l’impazzare di molte canzoni con ritmi trascinanti, tipo twist, rock’ n roll o il famigerato “hullygully” (alligalli, in inglese maccheronico), quelle maggiormente predilette erano i “lenti”, che venivano definiti “balli della mattonella”, volendo così evidenziare il fatto che si stava ben attaccati l’uno all’altra e si sperava che la musica durasse per un tempo infinito…

Davvero perfetto per questo scopo, a partire dall’estate del 1969, era “Je t’aime, moi non plus” cantata (anzi, sospirata) da Serge Gainsbourg e Jane Birkin. Questo pezzo notissimo, osteggiato inutilmente dalle varie censure, conteneva sostanzialmente i sospiri dei due amanti durante una bella “performance” amorosa, con una musica di sottofondo dotata di un ritmo a dir poco invitante. Tuttavia, non era mai il primo pezzo che si metteva sul giradischi. Si iniziava sempre con Peppino di Capri (A Saint Tropez, oppure Speedy Gonzales) oppure un rock (Rockaround the clock) o altro, poi, se a gestire la musica c’era qualcuno “attento”, si passava dopo un po’ ai lenti per culminare con “Je t’aime, moi non plus”. All’improvviso poteva succedere che la mano malandrina di qualche mamma padrona di casa abbassava o spegneva del tutto la luce, ed a quel punto chi aveva acchiappato quella giusta se la teneva stretta stretta sino a che non finiva di suonare, almeno per la quarta volta, quel disco assassino. Fu proprio un disco appassionato, “Quanto t’amo” cantato da Johnny Halliday, quello che fece da sottofondo al mio (maldestro ma chiaro) dichiararmi verso una bella ragazza mora con lunghe trecce… proprio nell’autunno del 1978, durante una festa organizzata per una mia licenza da militare. Io sì che ho fatto “l’autunno caldo”, altro che storie!!

All’improvviso si riaccendeva la luce, spesso perché la mamma che l’aveva abbassata era stata colta da scrupoli, altre volte perché qualcuno di quelli o quelle che “non pittavano” si dichiarava (comprensibilmente) stufo dell’atmosfera che si era creata e ricorreva alla torta, alle paste o alle bevande per affogare i dispiaceri negli zuccheri. Non mancava mai, in ogni festa che si rispettasse, la persona “in crisi”. Poteva essere un ragazzo, che faceva così per suscitare l’istinto materno nelle ragazze e ottenere quell’attenzione altrimenti negata, oppure una ragazza, magari “bruttarella” che non otteneva le sperate occhiate e tanto meno un ballo lento nella penombra. Eppure, ci sarebbe stata la soluzione per entrambi, perché c’erano brutti che potevano andare benissimo per quelle un po’ meno avvenenti e viceversa, ma la natura umana gioca brutti scherzi, manco a dirlo. Quasi sempre la ragazza “bruttarella” perdeva le bave dietro qualche bel ragazzo che nemmeno la filava, mentre lo sfigato con occhiali e brufoli di chi si innamorava? Ma della più “figa”, naturalmente. Risultato: crisi esistenziali a più non posso, con pianti nell’angolo o nella stanza accanto alla sala, oppure scene di ogni genere per attirare l’attenzione.

Il momento della Spazzola…

Arrivava allora il momento in cui il cretino di turno proponeva il gioco della spazzola e si presentava proprio dall’innamorato cotto dandogli la spazzola nel momento in cui quest’ultimo stava per avvicinare la ragazza ancora di più… mentre il braccio sinistro stava lasciando la mano per cingere il fianco, assieme al destro, per non lasciarle via di scampo. Quel tocco sulla spalla, con la spazzola, lo risvegliava… il tempo di mandare al diavolo l’imbecille che aveva osato interrompere quel sogno che stava per diventare realtà… Lei si staccava, forse a malincuore e sollevando le spalle si metteva a ballare con un altro… Ma al ragazzo dispettoso che aveva osato rompere l’incantesimo, immediatamente, veniva riconsegnata la spazzola, con lo sguardo serio che faceva capire di girare al largo! Poi i due “innamorati” si allontanavano per andare fuori a prendere un po’d’aria.

Mi vengono in mente le parole, a mio avviso perfette, di una notissima canzone di Paolo Conte, “Via con me”. Ad un certo punto egli dice alla donna a cui dedica la canzone: “…non perderti per niente al mondo lo spettacolo di arte varia di un innamorato di te”. Un genio Paolo Conte. In questa frase c’è tutto. Come riuscivamo a diventare scemi noi maschietti infervorati! Che bello era, però, quel periodo! Esisteva ancora una cosa importantissima dell’animo umano, ora sempre più rara: il corteggiamento…

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