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Home » Ragusa: l’altra rossa che non tramonta: la Olivetti Valentine

Ragusa: l’altra rossa che non tramonta: la Olivetti Valentine

Storie di Sicilia

Redazione by Redazione
29 Settembre 2025 - Aggiornato alle ore 22:15 -
in Attualità
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Ragusa: l’altra rossa che non tramonta: la Olivetti Valentine

Ragusa: l’altra rossa che non tramonta: la Olivetti Valentine - foto comunicato

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Ragusa – Scoprii comprandola nel 1974 tutta la magia della macchina da scrivere: il suono dei tasti, il gesto della leva, il rullo che scorreva… era come fare sesso con la carta…e la nostalgia di un’epoca unica. Senza smartphone, senza pc o senza Ipad non potremmo più vivere, ma quello che ci fa battere il cuore è il contenuto con le sue connessioni, non il contenitore, non la “macchina”. Chiunque abbia vissuto di scrittura o l’abbia fortissimamente praticata prima dell’avvento dell’era digitale sa cosa vuol dire essere stati innamorati della propria macchina da scrivere.

Forte, solida, mai obsoleta, perciò immutata per decenni, fedele compagna di tante avventure sintattiche a casa, in studio o portatile in giro per il mondo, più longeva della pur nobilissima penna, che si smarrisce o si logora facilmente, più affidabile, precisa e veloce di qualsiasi altro strumento inventato prima di essa per mettere le parole nero su bianco. Non è stato sempre così, perché perfino nelle mani dei loro stessi inventori i primi prototipi erano molto lenti e piuttosto fragili. Tuttavia la possibilità di scrivere perfettamente a casa o in ufficio, senza ricorrere a una tipografia, sedusse ben presto il mondo alle prese con la prima grande rivoluzione industriale.

A metà del Novecento non era possibile immaginare un luogo raggiunto da una qualche forma di civiltà moderna nei cinque continenti, che non esibisse, su qualche scrivania o tavolino, una macchina da scrivere, fissa o portatile che fosse. Dai grattacieli di New York e Chicago alle capitali africane, dall’Europa alla Cina, dai Paesi arabi ai palazzi indiani: tic tic tic toc tac frrrr, tic tic tac, senza rendercene conto, per molte generazioni, abbiamo avuto questa colonna sonora futurista. Il tasto, il tasto, il tasto, la leva, il rullo che gira, lo spazio, la pagina di carta che vien via, l’altro foglio che vien messo dentro, e avanti così.

Ora quella foresta di rumore non c’è più, si è estinta e il silenzio s’è fatto quasi totale, rotto soltanto dagli avvisi sonori lanciati dai messaggi degli smartphone, e dalle suonerie musicali che hanno sostituito gli squilli dei vecchi telefoni. Perfino l’impercettibile fruscio dei tasti dei pc si va zittendo, per fare largo al felpato incedere delle parole digitate sul touchscreen.

In un’epoca in cui di computer e stampanti non si vedeva ancora neppure l’ombra, nelle vere famiglie anni ’70 non poteva mancare la macchina per scrivere, rigorosamente marca Olivetti di colore beige, che si abbinava col telefono a disco, o arancione itterico che faceva pendant col mangiadischi.

Storie di Sicilia, un’esperienza unica e irripetibile…

Il suono dei tasti che battevano ritmicamente, il gesto deciso per tirare la leva e passare alla riga successiva, il delicato odore dell’inchiostro sulla carta: usare una macchina da scrivere era un’esperienza multisensoriale.

Non esistevano opzioni per correggere automaticamente gli errori. Ogni sbaglio richiedeva pazienza e un po’ di correttore, ma questo aggiungeva valore al risultato finale. Ogni documento scritto era unico, frutto di un processo che richiedeva attenzione e dedizione.

Il momento più agghiacciante in assoluto era però quando servivano più copie del capolavoro e si ricorreva alla carta carbone, l’alternativa casereccia al ciclostile. Se la prima copia veniva più o meno decente, la seconda lo era decisamente meno, la terza faceva schifo e la quarta sembrava una copia della Stele di Rosetta. Anche qui… un tripudio di macchie d’inchiostro ovunque.

A conti fatti, per battere a macchina due pagine, ci volevano in media due ore, tre risme di carta, un litro di bianchetto, un etto di carta carbone e una caraffa di camomilla. Bestemmie a piacere.

Un oggetto di design e cultura…

Le macchine da scrivere non erano solo strumenti di lavoro, ma anche veri e propri oggetti di design. Marchi iconici come Olivetti, Underwood e Remington hanno prodotto modelli che oggi sono considerati pezzi da collezione.

Ad esempio, la Olivetti Lettera 22, progettata negli anni ‘50, è stata celebrata come un capolavoro di design industriale, tanto da essere esposta al MoMA di New York. Questo dimostra quanto la macchina da scrivere fosse non solo funzionale, ma anche esteticamente affascinante.

Il ricordo… l’acquisto della mia macchina da scrivere “Valentine Olivetti di colore rosso” … correva l’anno 1974”

Rosso come il ‘68 italiano, l’occupazione, le proteste studentesche e operaie. Rosso come la rivoluzione. Rosso Valentine.

Chi come me è nato alla fine degli anni ’50 e a metà anni Settanta ha comprato da ragazzo una macchina da scrivere meccanica. “La mia era la Valentine Olivetti”.

Fu con il primo stipendio da apprendista operaio presso il Mulino e Pastificio “Santa Lucia” di Curiale & Rollo di 141 mila lire che mi permise dopo aver comprato un orologio ed un cappotto (tutte due volute decisamente dalla mia cara madre.) che volli farmi un vero regalo… comprare una macchina da scrivere per soddisfare un mio sogno, scrivere di tutto e di più (allora non avevo le idee chiare di cosa scrivere… e soprattutto se ne sarei stato capace… ma come disse qualcuno… ai posteri l’ardua sentenza.).

La tiravo fuori dall’armadio, a fatica la portavo in camera mia e la poggiavo sul tavolo. Usavo un solo dito, ovviamente, per battere sui tasti. Che bel rumore, però. Ancora lo ricordo: il ticchettio dei martelli che stampavano all’istante le lettere sul foglio e il tintinnio del carrello quando arrivavi a fine riga e con un colpo sulla leva “a capo” riportavi il rullo alla posizione di partenza.

Ti faceva credere di essere un vero scrittore. Infilavi il foglio, lo bloccavi col fermo carta, giravi la manopola e il rullo lo arrotolava. Impostavi i margini e poi via a scrivere. C’è perfino il selettore di colore: nero e rosso!

Mi sono divertito parecchio con quella macchina da scrivere. A quel tempo avevo il pallino del giornalismo, nonostante facessi appena le medie. Avevo anche creato una mia rivista fatta di ritagli di giornali e mie didascalie (li mettevo in una bacheca presso l’associazione “Aspiranti” presso i Salesiani di Ragusa) era la mia finestra aperta al mio piccolo mondo di ipotetici lettori.

Il lato negativo, chiaramente, era la scarsa velocità rispetto alla tastiera del computer, che non richiede poi l’acquisto dei nastri d’inchiostro. Il lato positivo era l’assenza totale di distrazioni. Per ritornare a quei tempi, adesso bisognerebbe usare un portatile senza collegamento internet e senza alcun programma installato, eccetto quello di scrittura. Lo farò, prima o poi.

Scrivere negli anni ’70, ’80 e ’90

Era senz’altro più affascinante. Per la documentazione usavo la mia enciclopedia universale “Curcio”, comprata a fascicoli settimanali presso l’edicola vicino casa, poi dopo averla fatta rilegare la collocai in una traballante libreria posizionata nel salotto di casa. L’enciclopedia “Curcio” era tutto quello che avevo a disposizione poiché non amavo andare in biblioteca, davvero non riuscirei a leggere nulla in un posto pieno di gente. Oltre all’enciclopedia mi affidavo alla fantasia, anche se non è certo il modo migliore per scrivere e documentarsi.

Rimpiango comunque quei tempi, da bravo nostalgico quale sono. Dite quello che volete, ma per me si viveva meglio allora. E scrivevo di più, poco ma sicuro.

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