La stesura della Legge di Bilancio per il 2026 si preannuncia una sfida complessa per il governo. L’esecutivo è chiamato a trovare un delicato equilibrio tra la promessa di ridurre la pressione fiscale sul ceto medio, la gestione di un enorme stock di debiti e la riforma delle pensioni, il tutto senza compromettere i conti pubblici. Le tre misure al centro del dibattito, il taglio dell’IRPEF, la “rottamazione quinquies” e la pensione anticipata a 64 anni, sono destinate a plasmare il futuro economico del Paese.
Taglio IRPEF: il ceto medio nel mirino
L’obiettivo principale del governo è un’ulteriore riduzione della pressione fiscale. La proposta più discussa prevede di abbassare l’aliquota IRPEF dal 35% al 33% per la fascia di reddito compresa tra 28.000 e 50.000 euro. Si sta valutando anche di estendere il beneficio fino a 60.000 euro annui, garantendo risparmi significativi che, in questo caso, potrebbero arrivare a 1.440 euro l’anno per i redditi più elevati.
Per finanziare l’operazione, il cui costo si aggira intorno ai 4 miliardi di euro, si stanno esplorando diverse opzioni. Tra le ipotesi sul tavolo c’è un contributo da parte delle banche, dopo i profitti record del 2024, oppure il blocco dei crediti d’imposta accumulati dagli istituti.
“Rottamazione quinquies”: una sanatoria selettiva
Per affrontare il colossale “magazzino fiscale” di oltre 1.300 miliardi di euro di debiti non riscossi, si sta preparando la quinta edizione della rottamazione delle cartelle esattoriali. L’obiettivo è permettere ai contribuenti in difficoltà di sanare i debiti accumulati tra il 2000 e il 2023, senza dover pagare sanzioni e interessi.
A differenza delle sanatorie passate, questa sarà selettiva: l’accesso sarà consentito solo a chi si trova in una reale situazione di disagio economico, come le famiglie a basso ISEE o i piccoli imprenditori in crisi. Sono esclusi, invece, i “rottamatori seriali” che non hanno onorato gli accordi precedenti. Si prevede anche la cancellazione automatica dei debiti inferiori a 5.000 euro (o forse anche 1.000) e la possibilità di rateizzare il pagamento in dieci anni.
Pensioni: la flessibilità a 64 anni con il TFR
Sul fronte previdenziale, il governo punta a offrire maggiore flessibilità senza aumentare l’età pensionabile, prevista per il 2027. La proposta più concreta è consentire il pensionamento anticipato a 64 anni ai lavoratori con almeno 25 anni di contributi, a patto che l’assegno finale sia pari ad almeno tre volte l’assegno sociale.
Per chi non raggiunge questa soglia, si valuta la possibilità di integrare la pensione con il proprio Trattamento di Fine Rapporto (TFR). Un’opzione che, però, ha dei costi e dei rischi. La pensione verrebbe calcolata interamente con il metodo contributivo, riducendo l’importo, e l’utilizzo del TFR penalizzerebbe i lavoratori con redditi più bassi e carriere discontinue. Per questo, l’INPS stima che la misura possa costare circa 2 miliardi di euro all’anno.