Sembra quasi la scena di un film. Una nave fantasma, la baleniera Dolphin mai tornata in porto, è riapparsa a distanza di secoli e il suo rinvenimento potrebbe raccontarci una storia molto più complessa di quanto si pensi. Chiaramente, la nave non è ricomparsa per davvero: le sue vele spiegate non si sono stagliate nella nebbia e non ci sono pirati fantasma che si muovono sul suo pontile. Più realisticamente (e naturalmente) è stato rinvenuto parte del suo “corpo”: assi di legno, travi, pioli e anelli di metallo. Ma cosa ci racconta questo ritrovamento?
La Dolphin, baleniera mai tornata in porto: la storia
Per saperne di più occorre raccontare la storia della nave fantasma in questione. Correva l’anno 1858 quando l’imbarcazione, chiamata Dolphin, salpò dalle coste di Warren, nel Rhode Island (negli USA). La nave era una baleniera, ovvero un vascello utilizzato per la caccia ai cetacei. Ciò significa che la Dolphin era un mezzo di navigazione robusto, in grado di dominare i sette mari e dotata anche di strumenti per catturare, trattare e smaltire i grandi mammiferi marini.
Fu anche per questo che la sua scomparsa apparve sorprendente agli occhi dei contemporanei, che non si spiegarono mai cosa fosse successo davvero. Neanche i membri dell’equipaggio, ben 42 persone salvato a distanza di un anno intero nelle acque dell’Oceano Atlantico, fu in grado di spiegare cosa accadde e come fece a sopravvivere per così tanto tempo in mare aperto. Anche per questo la storia misteriosa delle Dolphin continuò a passare di bocca in bocca e vennero prodotti fior fior di documenti per far luce sul mistero.
Ci vollero, però, secoli e secoli prima che qualcuno riprendesse in carico la storia e decidesse di indagare nuovamente. A riaccendere l’interesse per la Dolphin, infatti, è stato il ritrovamento, risalente al 2004, di una serie di parti di un’imbarcazione al largo della costa di Puerto Madryn, una città del golfo sulle coste settentrionali della regione patagonica dell’Argentina. Si trattava di parti di alberi robusti, il cui peso originario si attestava sulle 300 tonnellate e di assi che sembravano far parte di una stiva particolarmente ampia.
Queste parti di nave corrispondevano proprio a quelle di una baleniera della seconda metà dell’Ottocento, ma era difficile, nel 2004, poter dire con certezza che si trattasse dalla Dolphin. Furono dunque autorizzati e svolti con lentezza e precisione diversi studi che coinvolsero (e continuano a coinvolgere) esperti di diverse discipline scientifiche: archeologi, antropologi e dendrocronologi (esperti di anelli ed età degli alberi) sono stati chiamati a dare il loro parere.
La dendrocronologia e la verità sulla nave fantasma
Proprio i dendrocronologi hanno fatto la differenza. Sono riusciti ad analizzare non solo gli anelli degli alberi maestri, ma anche quelli dei legni trattati appartenenti alla stiva e allo scavo rinforzato, nonostante l’usura dovuta al tempo e alla permanenza in acqua. Grazie alla dendrocronologia è stato possibile risalire sia all’età del legno che al tipo di materiali usati per trattarlo: oli specifici, cere e rame rinforzato, che corrispondevano ai resoconti sulla Dolphin.
Ma dunque, cos’è successo davvero a questa nave? In base agli studi degli scienziati, la Dolphin si è avventurata troppo al largo per quello che era il suo scopo di baleniera. La prassi di spingersi più lontano non era rara, ai tempi, perché i cetacei andavano diminuendo significativamente proprio per via dei cacciatori che li uccidevano senza controllo. Questo avrebbe portato a un tempo di navigazione persino più lungo di quello che la barca, già carica, poteva sopportare. Qualcosa si sarebbe pertanto spezzato, facendo naufragare il vascello.