La sclerodermia o sclerosi sistemica è una malattia autoimmune che provoca un ispessimento dell’epidermide. Sclerodermia letteralmente significa “pelle dura”. Ma quali sono i sintomi per riconoscerla? Ecco la causa, la diagnosi e la terapia.
Il picco di insorgenza della sclerodermia si colloca tra i 45 e i 65 anni e, come spesso si osserva nelle patologie autoimmuni, sono colpite più frequentemente le donne, con una sproporzione (7:1) che risulta evidente soprattutto quando la malattia esordisce più precocemente rispetto a quando l’insorgenza si realizza dopo i 50 anni (2:1). L’incidenza della sclerodermia è stimata tra uno e venti casi per milione di abitanti all’anno, mentre la prevalenza, in Europa, è compresa tra 8 e 20 casi per milione di soggetti adulti. La sclerodermia provoca un sensibile ispessimento dell’epidermide e, nei casi più gravi, può arrivare a colpire alcuni organi vitali come i polmoni, l’apparato digerente, il cuore e i reni. Sono 30.000 circa le persone che ne soffrono in Italia e si contano circa 300 nuovi casi all’anno, con un’incidenza maggiore tra le donne di età compresa tra i 30 e i 50 anni. Caratteristiche che hanno fatto sì che, negli ultimi anni, venisse riconosciuta ufficialmente come malattia rara in Lombardia e Lazio. La causa della sclerodermia è ancora sconosciuta. È stato ipotizzato un ruolo dei fattori ambientali, come l’esposizione a solventi organici e tossine, o agenti microbici che potrebbero innescarne la comparsa in soggetti geneticamente predisposti.
Ma come si riconosce la sclerodermia e quali sono i sintomi? La sclerodermia esordisce nella maggior parte dei casi con il fenomeno di Raynaud, consistente nel cambiamento di colore delle estremità (spesso dopo esposizione alle basse temperature), che diventano dapprima pallide, poi cianotiche e infine di colore rosso. Il pallore è dovuto alla riduzione dell’afflusso di sangue e si associa all’abbassamento della temperatura cutanea e ad un’alterata sensibilità. Il segno più caratteristico della sclerodermia è l’ispessimento della cute, riscontrabile inizialmente a livello delle mani, che possono andare incontro ad una progressiva deformità in flessione delle dita, e poi anche a livello dei polsi, degli avambracci, del volto e del tronco. Sulla base dell’interessamento cutaneo si distinguono forme di sclerodermia limitata (impegno cutaneo limitato a mani e avambracci, generalmente caratterizzata da minore impegno d’organo ed evoluzione più lenta) e diffusa (impegno cutaneo esteso oltre gli avambracci, generalmente caratterizzata da impegno d’organo più severo ed evoluzione più rapida). Frequenti risultano le ulcerazioni delle nocche e della punta dei polpastrelli. Il coinvolgimento degli organi interni è la “spia” di una malattia più avanzata. La difficoltà nel completare un atto respiratorio, così come nel deglutire, le aritmie cardiache, il bruciore di stomaco, i dolori articolari e muscolari, i dolori addominali e la stipsi, talvolta ostinata, sono altre manifestazioni caratteristiche della malattia, indicative dei principali organi coinvolti ovvero il polmone, il cuore, il tratto gastrointestinale e l’apparato muscolo-scheletrico.
Come si fa una diagnosi? La diagnosi di sclerodermia è abbastanza facile da formulare in presenza del fenomeno di Raynaud e delle tipiche manifestazioni cutanee e del coinvolgimento viscerale (in particolare fibrosi polmonare e ipertensione polmonare). Gli esami del sangue e le indagini strumentali mirate in base al tipo di coinvolgimento d’organo sono di ausilio per la diagnosi e per determinare l’entità del danno organico secondario alla malattia. La capillaroscopia, un esame semplice e non invasivo che valuta la morfologia e la distribuzione dei capillari a livello del letto ungueale, può aiutare nella diagnosi precoce di questa patologia, e andrebbe sempre effettuata in presenza di fenomeno di Raynaud o altri sintomi suggestivi.
Qual è la terapia? Non vi sono ancora farmaci in grado di curare la sclerodermia. I trattamenti utilizzati, pertanto, puntano a contenere i sintomi e ad evitare/ritardare le complicanze della malattia. I farmaci più comunemente impiegati comprendono i vasodilatatori (calcio-antagonisti, ACE-inibitori, prostacicline) nel tentativo di migliorare la circolazione del sangue nei piccoli vasi e di ridurre la pressione; farmaci procinetici e antiacidi per contrastare il bruciore di stomaco; antiaritmici se vi sono aritmie cardiache; immunosoppressori per trattare l’impegno muscolo-scheletrico e viscerale. È inoltre fondamentale raccomandare ai pazienti di mantenere la temperatura degli ambienti in cui vivono non più bassa di 20 °C, di coprire sempre le estremità, di mantenere una posizione semiseduta durante il riposo per neutralizzare il reflusso gastroesofageo.