Sulla carta, le nuove agevolazioni per le assunzioni di giovani e donne, finalmente sbloccate dal “decreto Coesione”, rappresentano un’opportunità significativa per le imprese italiane. Con sconti sui contributi che possono raggiungere i 650 euro al mese per due anni, il governo intende stimolare l’occupazione stabile. Tuttavia, dietro la promessa di un generoso sostegno, si nasconde una realtà ben più complessa: un intrico di vincoli, calcoli farraginosi e requisiti spesso difficili da soddisfare, tra cui il contestato obbligo di “incremento occupazionale netto”.
Le voci critiche dal mondo imprenditoriale e sindacale sono unanimi nel definire queste misure come interventi “spot” e non strutturali, la cui complessità rischia seriamente di vanificarne l’efficacia.
Gli incentivi e le difficoltà di accesso
Il pacchetto di incentivi, forte di un finanziamento di 5 miliardi tra fondi europei e nazionali, offre uno sgravio contributivo mensile fino a 500 euro (che sale a 650 euro per le assunzioni nel Mezzogiorno) per i contratti a tempo indeterminato rivolti a:
- Giovani under 35 che non abbiano mai avuto un contratto a tempo indeterminato nella loro vita.
- Donne “svantaggiate” di qualsiasi età, definite come prive di impiego retribuito da almeno sei mesi e residenti al Sud, o disoccupate da due anni ovunque residenti, o impiegate in settori con alta disparità di genere.
Proprio il requisito per i giovani – quello di non aver mai firmato un contratto a tempo indeterminato – emerge come un ostacolo insormontabile. Nel mercato del lavoro italiano, caratterizzato da precarietà e da brevi esperienze di lavoro stabile, questo vincolo esclude una vastissima platea di giovani che, pur avendo avuto un contratto a tempo indeterminato per pochi mesi in passato, si trovano ora nuovamente in cerca di occupazione.
L’incubo dell’Incremento occupazionale netto
La vera insidia, però, risiede nel requisito tecnico dell’incremento occupazionale netto, imposto dalla Commissione Europea per quasi tutti gli aiuti di Stato. Per beneficiare dello sgravio, l’azienda deve dimostrare che la nuova assunzione ha effettivamente aumentato il numero totale dei suoi dipendenti, calcolato come media dei 12 mesi precedenti. L’intento è nobile: impedire che le aziende licenzino per poi riassumere con l’incentivo. Ma la sua applicazione si rivela un vero e proprio incubo burocratico.
A complicare ulteriormente il quadro è stata una sorprendente inversione di rotta dell’INPS. Inizialmente, la normativa sembrava escludere questo obbligo per il bonus under 35. Tuttavia, con un messaggio del 18 giugno 2025, a seguito di un confronto con la Commissione Europea, l’Istituto ha stabilito che, dal 1° luglio, anche questo incentivo è subordinato all’incremento netto. Questa decisione ha creato una disparità di trattamento basata unicamente sulla data di assunzione, gettando nel panico le imprese che avevano pianificato le proprie strategie di recruiting sulle regole precedenti. Il requisito impone un complesso monitoraggio mensile (basato sulle Unità Lavorative Annue – ULA) e il rischio di dover restituire gli sgravi già fruiti in caso di diminuzione dell’organico nei mesi successivi.