Quando la Guardia di Finanza ha fatto irruzione in due appartamenti e in un magazzino anonimo nella cintura urbana di Lucca, si è trovata davanti a uno scenario che somigliava più a un hub logistico clandestino che a una semplice base di stoccaggio. Scatoloni impilati, liquidi aromatizzati sigillati con cura maniacale e migliaia di dispositivi per il vaping pronti per essere distribuiti. Un giro da oltre 3 milioni di euro. Ma non si trattava di un distributore all’ingrosso autorizzato di prodotti da svapo: tutto era rigorosamente fuori dal radar fiscale.
I numeri parlano chiaro. Dentro quei locali, apparentemente disabitati, erano nascosti oltre 16 milioni di pezzi tra sigarette elettroniche, liquidi e accessori, tutti sprovvisti del marchio fiscale obbligatorio. A spiccare su tutto, più di 20.000 dispositivi elettronici già pronti all’uso. In mezzo alla merce, anche mazzette di contanti. Un dettaglio che lascia intuire l’entità del giro.
Dietro le quinte, secondo gli investigatori, si muoveva una rete di contrabbando, con ramificazioni verso la Toscana costiera e alcune tabaccherie liguri, disposte a chiudere un occhio in cambio di prezzi stracciati e margini più ampi.
Sigarette elettroniche di contrabbando: più diffuse di quanto sembri
Che le sigarette elettroniche siano finite nel mirino del mercato nero non è più una sorpresa da prima pagina. Lo è, semmai, la velocità con cui il fenomeno si sta allargando e cambiando pelle. Oggi non si parla più di carichi rubacchiati alla dogana o di piccoli raggiri artigianali: il contrabbando delle e-cig si muove in modo imponente, approfittando dei vuoti normativi e del boom di un prodotto ormai trasversale a tutte le fasce d’età.
Secondo uno studio Ipsos commissionato da Logista, il giro d’affari illecito legato a questi dispositivi ha superato nel 2024 il miliardo di euro. Le sigarette elettroniche di contrabbando, stando alle stime più recenti, rappresentano una quota importante del mercato sommerso, complici i margini elevati e i costi di produzione ridotti all’osso.
Un buco nero per l’economia legale
Ogni sigaretta elettronica di contrabbando che passa sotto banco è un tassello che manca al mosaico fiscale dello Stato. E il conto finale, come sempre, lo pagano le imprese che operano nella legalità e i lavoratori che da esse dipendono. I danni non si misurano solo in euro non riscossi, ma anche in posti di lavoro evaporati e in competitività bruciata sul nascere.
Nel 2024, il contrabbando nel settore dei prodotti da inalazione ha generato, secondo le stime diffuse, oltre 200 milioni di euro di mancato gettito fiscale solo in Italia. Ma i soldi persi sono solo la punta dell’iceberg. L’erosione del mercato legittimo ha lasciato a casa più di 5.000 addetti tra produzione, distribuzione e vendita. La concorrenza, in questi casi, non è sleale: è spietata. Chi evade può tagliare i prezzi, chi rispetta le regole no. E in mezzo ci finisce il consumatore, attirato dalla convenienza ma ignaro di ciò che accade dietro le quinte.
Anche i piccoli esercenti ne risentono: tabaccai e negozi specializzati che si ritrovano a competere con venditori improvvisati, che non devono versare accise né rispettare limiti normativi. Una spirale che rischia di soffocare un comparto già fragile, sempre in bilico tra regolamentazioni mutevoli e dinamiche di mercato volatili.
Tra leggi, sanzioni e controlli: la partita è ancora aperta
Nel tentativo di mettere un freno al fenomeno, le istituzioni hanno cominciato a stringere le maglie, almeno sulla carta. Dal gennaio 2025, ad esempio, è entrata in vigore una norma che vieta la vendita online dei liquidi contenenti nicotina, nel tentativo di arginare le vendite incontrollate. Ma la rete, per definizione, è difficile da imbrigliare. E così, mentre i siti italiani si adeguano, spuntano portali stranieri che promettono consegne rapide e discrezione totale.
La Guardia di Finanza, intanto, continua a pattugliare il territorio, supportata da strumenti tecnologici e segnalazioni anonime. Negli ultimi dodici mesi, sono aumentati del 25% i sequestri di sigarette elettroniche illegali, con un picco proprio in Toscana e in Emilia. Il contrasto al contrabbando però resta una corsa ad ostacoli: per ogni deposito chiuso, ce n’è un altro pronto a comparire altrove.
Il problema è culturale prima che giuridico. In un contesto in cui la percezione del rischio è bassa e l’etichetta “illecito” appare sbiadita, anche il consumatore finisce per fare scelte superficiali, ignorando la provenienza dei prodotti che acquista. Chi alimenta il mercato nero non è sempre un criminale organizzato: spesso è un cittadino qualunque, inconsapevole attore di una filiera clandestina.
La sfida, ora, non è solo reprimere ma prevenire. Serve un lavoro di trincea, fatto di controlli ma anche di informazione capillare. Perché solo illuminando le zone d’ombra si può sperare di ridurre lo spazio d’azione di un fenomeno che ha trovato nella sigaretta elettronica il suo nuovo cavallo di Troia.