Il titolo di questo film mi ha portato automaticamente alla mente una grande opera scultorea che merita di essere vista. Questa si trova in un chiesa di Napoli, San Severo, nelle vicinanze di San Gregorio Armeno: “il Cristo Velato”.
La magia di Napoli, i suoi misteri, i suoi costumi, i suoi abitanti, usi e consuetudini , le sue bellezze artistiche e panoramiche sono presenti in continuazione nella narrazione di questa ultima opera di Ozpetek. Per certi versi mi fa ricordare “la Grande Bellezza” di Sorrentino, quando si evidenziano le contraddizioni della città romana. Qui però la storia si snoda attraverso il trauma che subisce Adriana, bambina di pochi anni, che assiste impotente alla lite fra i genitori ed alla loro scomparsa dalla vita terrena. Il mistero sepolto nella mente riemerge attraverso la liberazione del proprio corpo: le ambivalenze e le contraddizioni strutturali dell’esperienza amorosa, ovvero(in cui) i margini dell’amore e della sofferenza si intrecciano.
Una esperienza in cui l’immaginario dei desideri di Adriana inventa la persona amata e in cui si esasperano le sensazioni di vita e di morte, di presenza e di assenza, di attrazione e di angoscia, di liberazione e colpevolezza, di fantasia e di realtà. Eros e thanatos un tema che la psicanalisi ha continuamente studiato e che coinvolge le esperienze di tantissime persone sembra essere il leitmotiv di questa opera. Un filo che lega i margini dell’amore e della sofferenza, in una grande città complessa e maestosa dove i misteri e le superstizioni hanno una grande valenza e tutto si svela e si conosce, mai nella sua totalità ma attraverso un velatura di luci e ombre.
Il film “Napoli Velata” ci lascia interdetti per le tante narrazioni che ci propone, le tante simbologie che ci esibisce, ma credo che ognuno di noi attraverso le proprie riflessioni e visioni possa trovare una qualche forma di godimento nella vista di questo film. Pietro Storniolo