“La Cantatrice calva” opera prima di Eugène Ionesco ha avuto finalmente il suo battesimo anche a Modica. Doppia replica con successo lo scorso fine-settimana al Teatro Garibaldi per la commedia o meglio l’anticommedia – come la definì il suo stesso autore alla stesura nel 1950 – che aprì la strada a quel “Teatro Nuovo” dove nuove e più pregnanti istanze convergeranno dando vita ad una letteratura drammaturgica innovativa e moderna. Commedia al contrario dunque “La Cantatrice calva”, perché in essa il comico è solo un tragico mascherato e l’apparente non senso sottende al contrario un senso forte dato appunto dalla rappresentazione dell’assurda condizione dell’uomo intrappolato dalle spire del convenzionalismo borghese. Ma in Ionesco la sostanza è molto più impegnativa e tormentosa: la ricerca del senso e del perché della vita, così l’opera diviene trasposizione drammaturgica di ciò che l’esistenzialismo è per la filosofia e cioè il disvelamento della condizione concreta, a-logica e precaria dell’essere umano. L’interrogativo che Ionesco pone è chiaro, inequivocabile, e ancor più oggi, drammaticamente attuale, e cioè se ha senso l’esistenza di una vita che si risolve in quotidianità banale, scandita dai ritmi di un tempo impazzito, governata dal caos, dall’incomunicabilità e dall’alienazione agli altri e a se stessi. Il regista Vittorio Rubino rispetta fedelmente le direttrici poste dall’autore francese pur con qualche felice libertà, dirigendo un cast di attori assolutamente in parte capaci di cogliere perfettamente la poetica e l’universalità del pensiero ioneschiano. I personaggi della Cantatrice: i signori Smith – Carmelo Gugliotta e Laura Scifo; i signori Martin – Salvo Giorgio e Carmen Frasca; il pompiere – Emanuele Sipione; la cameriera barbuta Mary – Giovanni Peligra; l’uomo che governa il tempo – Salvo Nicita; si muovono come marionette dentro una scenografia bicroma, impersonale e minimalista, scandita da un grande pendolo e dall’ottima musica di Salvo Giorgio. Nel corso dello spettacolo i discorsi dei protagonisti in un crescendo di banalità e luoghi comuni giungono al finale delirante mostrando con lucida chiarezza come, nella confusione generale dei ruoli, gli Smith e i Martin, simboli di una borghesia vuota e stereotipata, siano addirittura tra loro interscambiabili. Si sorride e si riflette. Grande successo di pubblico per uno spettacolo imperdibile, capace di veicolare verità scomode attraverso l’arma leggera della comicità surreale.
Giorgia Frasca Caccia