Palermo – Ha scritto una lettera al giudice del processo trattativa Stato-mafia, Piergiorgio Morosini, per negare di conoscere il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri e di avere mai frequentato o avuto contatti con uomini politici. Leoluca Bagarella, superkiller di Cosa nostra e cognato di Totò Riina, si sente “leso” dall’accostamento del proprio nome a quello di chi fa politica: “Faccio presente a questo giudice -scrive nella lettera- che io, quando ero fuori in libertà, non conoscevo neanche il nome del signore nominato da Brusca, cioè Dell’Utri Marcello. Per me era ed è un illustre sconosciuto. Quello ‘di cui’ dice Brusca è una miserabile menzogna”. Il parlamentare uscente del Pdl e’ assieme a Bagarella tra gli imputati nel procedimento sulla trattativa. “Non mi sono mai interessato di politica -aggiunge il cognato di Totò Riina-. Non ho mai avuto contatti con il mondo della politica.
Non c’è nessun politico che ha dei patti da mantenere con il sottoscritto”. Il riferimento fatto da Bagarella è alle accuse che gli sono state mosse dal pm Nino Di Matteo, sul cosiddetto “proclama” del 12 luglio 2002, con cui, davanti alla Corte d’assise di Trapani, il capomafia corleonese richiamò i politici per la durezza delle misure adottate contro i mafiosi; dopo avere negato di avere minacciato ritorsioni, il boss aggiunge: “Allora non mi era stato ancora stabilizzato il 41 bis. E poi non ho detto ai politici che i patti si mantengono”. Una smentita anche per il suo ex fedelissimo Tullio Cannella, che aveva parlato del “partito” ideato da Bagarella (“Sicilia libera”) e che, chiosa lo stesso boss, “ha racimolato appena 23 voti, quindi lascio a lei, giudice, ogni valutazione”. E ancora una smentita di Bagarella per l’odiato pentito Giovanni Brusca, che aveva parlato dell'”emissario” Vittorio Mangano, mandato a Milano “per contattare dei personaggi (Silvio Berlusconi, non nominato, e Marcello Dell’Utri, ndr) e chiedere favori e altro”.