Romano Prodi dopo anni di assenza dalla politica attiva tenta con questo libro “Il Piano Inclinato” di dare delle risposte alle domande che la società globalizzata ha posto e pone continuamente.
La riflessione da cui inizia è l’aumento della diseguaglianza…. “se mi volto indietro per cercare, negli scritti degli storici, come l’umanità sia passata da punte di estrema diseguaglianza a periodi di maggiore equilibrio vengo preso da scoramento. Sembra proprio che, nei secoli, solo le grandi catastrofi abbiamo portato una maggiore giustizia.” Tale analisi viene contraddetta dal grande progresso che si è verificato nei paesi del Nord Europa dove grazie ad una severa politica fiscale ed ad una presenza dello Stato e dei rappresentanti dei lavoratori si sono verificati progressi verso una maggiore giustizia sociale.
Una riflessione attenta sulle ricette adottate da questi paesi – Svezia, Norvegia, Danimarca – potrebbe dare una grande impulso e magari un po’ di speranza alle future generazioni. Infatti l’insicurezza che pervade trova risposte in un miscela di componenti che si sono verificati in questi ultimi anni: Tecnologia, globalizzazione, finanza, sono state gestite in maniera poco adeguata dalla politica locale e mondiale. Gli effetti sono visibili ed hanno comportato una stasi economica ed una crescita delle diseguaglianze fra i lavoratori e un deterioramento della componente lavoro, un processo di precarizzazione dei percorsi professionali, un abbassamento delle remunerazioni e una profonda frattura tra lavori ad alto e basso livello di specializzazione.
Ci troviamo di fronte a una duplice sfida: da un lato è necessario promuovere la crescita con gli investimenti e l’occupazione, dall’altro dobbiamo attribuire maggiore peso e importanza ai beni comuni come la salute, l’istruzione e l’ambiente. Un nuovo ruolo del patrimonio sociale nei confronti del patrimonio individuale. Prodi fra le tante analisi e proposte inoltre ipotizza lo sviluppo del Mezzogiorno su due settori da gestire in maniera industriale: l’agroalimentare ed il turismo, settori che esigono processi di integrazione, economie di scala e legami col mercato. Senza dimenticare però di far crescere anche l’impresa manifatturiera.
Tuttavia fa notare che la strada che può farci uscire dal declino è lunga e difficile; implica cambiamenti non solo in campo economico o politico ma soprattutto in una psicologia collettiva ormai rassegnata a perdere di fronte alla Cina o agli Stati Uniti e persino agli altri paesi europei. L’Italia può salvarsi solo migliorando la preparazione culturale e il livello etico dei suoi cittadini: un impresa che ha bisogno di molto tempo e di molta costanza.