Il 95% dei materiali plastici utilizzati oggi per confezionare e trasportare i prodotti viene abbandonato dopo un singolo uso. Vive cioè una sola volta, resta li immobile per centinaia e centinaia di anni. Uno studio del CNR firmato Marco Malinconico ci dice che nel 2014 la fabbrica di plastica globale ha messo in circolazione 311 milioni di tonnellate di tubi, attrezzi, cellophane, sacchetti, bottiglie, vassoi ecc. quando negli anni sessanta tale quantità non superava i dieci milioni.
Secondo le previsioni se si va avanti con questo ritmo fra qualche decennio la produzione mondiale supererà il miliardo di tonnellate annuali.
“Oggi viene davvero riciclato solo il 20% del materiale plastico in commercio, il resto finisce in discarica. Ma nella maggior parte dei casi non viene intercettato e cosi finisce in mare… se non verranno aumentati gli sforzi per cambiare il ciclo di produzione e smaltimento delle molecole, tra qualche decennio negli oceani ci saranno isole di rifiuti.
La questione è complessa, riguarda la composizione stessa della plastica che adesso si produce attraverso “un mix di poliammidi e propileni che non si riescono poi a separare e hanno quindi come unica destinazione possibile l’inceneritore o la discarica.” La grande sfida dei laboratori oggi è migliorare le strutture chimiche per ottenere le stesse prestazioni con l’impiego di meno materiale, cioè meno scarto. Da un punto di vista scientifico si stanno cercando varie soluzioni come produrre detersivi con basso contenuto di acqua (da aggiungere dal rubinetto di casa) o di non usare la plastica solo per il confinamento e la protezione dei materiali ma anche per nuove funzioni.
Più sottile, semplificata e intelligente sarà la plastica del futuro come ci dice di Francesca Sironi, autrice dell’articolo pubblicato su D in data 25 Giugno.
La vera sfida è più ampia, e riguarda la possibilità di rendere anche la plastica un materiale che l’ambiente possa smaltire. Le plastiche biodegradabili sono già una realtà da un punto di vista tecnologico anche se occorre dimostrare la loro sostenibilità ambientale. Infatti le controversie sui latifondi coltivati a granturco: saranno più importanti per produrre cibo o nuovi polimeri. Pietro Storniolo