Nuovi sviluppi per la ricerca sulle cellule staminali e sullo studio di come l’embrione si impianta nell’utero e delle primissime fasi di malattie come la sindrome alcolica fetale e l’autismo. Per la prima volta un embrione è stato fatto svuluppare in provetta fino a 13 giorni. Il risultato è stato pubblicato sulle riviste Nature e Nature Cell Biology da due gruppi di ricerca che hanno lavorato in modo indipendente. Entrambi gli esperimenti si sono fermati a 14 giorni in linea con le raccomandazioni internazionali relative alla produzione di cellule staminali. L’esperimento della Rockefeller University di New York, pubblicato su Nature, coordinato da Ali Brivanlou e che ha come primo autore l’italiana Alessia Deglincerti, ha ‘mimato’ in laboratorio il processo con cui l’embrione attecchisce nell’utero e aiuterà a comprendere perchè in molti casi l’embrione non aderisce alle pareti dell’utero e la gravidanza non avviene. Il mancato impianto dell’embrione nell’utero è oggi la prima causa di fallimento nelle gravidanze frutto della fecondazione assistita. Diventa inoltre possibile studiare come alcune malattie, come l’autismo, si fanno strada già nelle prime fasi della vita.
Il secondo esperimento, pubblicato su Nature Cell Biology e condotto dal gruppo dell’università britannica di Cambridge coordinato da Magdalena Zernicka-Goetz, ha osservato direttamente come l’embrione si auto-organizza nell’arco di tempo compreso fra lo stadio in cui si formano le cellule staminali a quello che avviene dopo l’impianto nell’utero. (Embrione umano di 12 giorni. Ha cominciato a differenziarsi in più tipi di cellule, comprese quelle che daranno origine al feto, indicate in verde foto e fonte:Gist Croft/Alessia Deglincerti/Ali H. Brivanlou; The Rockefeller University)